All’età di 25 anni “mi ritrovai in una selva oscura”: il Diabete Tipo 1. Un fulmine a ciel sereno, non avevo mai sentito parlare di diabete in giovane età, pensavo infatti che questa malattia riguardasse solo il mondo degli anziani.
Doversi iniettare 4 volte al giorno l'insulina non fu tanto semplice per me che avevo fino a quel momento odiato fare anche una sola puntura. La tecnologia non era come quella attuale, penso che a chi capitava di avere il diabete a quei tempi fosse una maledizione.
Anche le insuline erano diverse da quelle usate oggi, infatti al mio esordio stava uscendo di scena l'insulina di produzione suina per lasciare spazio all'insulina umana non perché fosse veramente di produzione umana, ma si trattava di una combinazione chimica.
Lasciando stare il lato scientifico, io intanto mi barcamenavo tra iper, ipo, rinunce, strisce, controlli ed analisi da portare ai controlli. Mi dicevano che dopo 20 anni di diabete sarebbero arrivate le complicanze, questa cosa mi spaventò molto, ma non mi rassegnai, non ci volli credere e cominciai ad informarmi su questa malattia, non perdevo occasione per acquisire sempre nuove informazioni. Perché si trattava di malattia cronica, si trattava quindi di conviverci.
Ma convivere con un nemico non è semplice, lo si deve conoscere per poterlo combattere. Così ho fatto, perché l'informazione è la chiave della prevenzione, magari le complicanze non si possono evitare, ma si possono tenere lontane il più possibile conducendo una vita normale.
Ormai sono passati 36 anni di Diabete Tipo1 e penso di poter dire che ormai le redini le ho io, riesco a dominarlo come meglio posso, non mi piango mai addosso e posso dire di aver condotto una vita uguale ad una persona sana. Da diversi anni ho abbandonato la terapia multiniettiva e ho messo il microinfusore anche se le mie glicate erano buone, ora il diabete non mi fa più paura. La vita è una sola e bisogna viverla bene anche con il diabete.
Antonella
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Carissima, complimenti! Nessuno aveva mai fatto un paragone più calzante accostando il diabete, e la sua scoperta, al primo canto dell’inferno di Dante Alighieri! Allora, prima di tutto, l’incipit della Divina Commedia ci parla di “nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per la selva oscura”, una esperienza che, benché lui faccia da solo, in realtà, riguarda tutti poiché utilizza il “noi”.
Un po’ come il diabete, camminiamo da soli nel nostro percorso glicemico, ma siamo in tanti, siamo in ottima compagnia, purtroppo. Ma l’unione può essere anche condivisione di esperienze ed accrescimento, quindi bene. Dante, poverello, affronta questa selva oscura che fa paura perddavvero. Ma mica perché è paurosa e basta (io da sola nel bosco sarei in costante attacco di panico) ma perché il futuro, la solitudine, il buio, i cattivi presagi rendono quel luogo ancora più agghiacciante.
Ma cosa fa Dante? Comunque vi trascorre la notte in quella selva, perché stanco e stremato, decide di continuare il cammino il giorno seguente. Passa la notte. Capisci? Al risveglio, un raggio di luce (la speranza, la guida) lo porta ad uscire dal buio ed inoltrarsi fuori dalle tenebre, verso la collina (un’altra bella salita. Chissà che glicemie Dante, eh?). Ma, vuoi che forse era in ipoglicemia, o vuoi che magari era comunque un uomo magrolino e deboluccio, non ce la fa da solo. Ha bisogno di una guida. E, quindi, arriva Virgilio, tipo guida turistica accreditata, e lo porta con sé e gli spiega come fare ma gli spiega anche la vita, in realtà.
Ecco io ci vedo molte similitudini. Quando scopriamo di avere il diabete (soprattutto quelle come te e me che l’hanno scoperto all’epoca delle siringhe e dell’insulina suina) è un po’ come addentrarci in un bosco pieno di pericoli e frasche, inciampi, animali feroci (la paura delle complicanze) e mille insidie. Si può scappare? No. Anzi. Bisogna passarci dentro e fino in fondo, fino al buio più scuro della notte. Solo se abbiamo esplorato tutte le nostre emozioni e paure possiamo cercare di sperare di rivedere la luce! Ma questo basta? No, però, aspetta, è già un ottimo inizio! Ma che ci serve ancora? Un Virgilio! Il nostro Virgilio può essere il nostro centro diabetologico, le nuove tecnologie applicate al diabete, un marito rompipalle che ci segue passo passo, qualsiasi cosa vogliamo che ci possa aiutare a gestire il diabete al meglio.
Decidiamo noi, insieme, in questo cammino, chi possa aiutarci per andare avanti ed uscire dall’inferno (azzardo questo parallelo, ma la diagnosi di malattia, inizialmente, credo si accosti bene a quell’atmosfera) chiaramente prima dobbiamo passare “la nottata“ delle nostre paure, in solitudine, ma poi risalire pian piano verso, non dico il paradiso, ma un paradisino, magari, ce lo potremmo anche meritare, no?
Ecco la selva oscura schiarita, noi (tutti i diabetici) che guardiamo dritto al futuro, sperando che quei 20 anni per l’insorgenza delle complicanze diventino 40 o 50 o cento! Insieme a passeggiare, invece che nelle terre selvagge, magari nei sentieri più sicuri o, come preferisco io, nelle vie del centro delle città, dalla parte dove sono presenti più negozi per fare shopping! In fondo, camminare fa bene alle glicemie, no?
La vita è una sola, hai detto bene, troppo breve per viverla in una selva oscura, no?