Io accetto. Tu accetti. Egli accetta. Noi accettiamo. Voi accettate. Essi accettano. Il verbo accettare va declinato al presente. Per forza. Altrimenti, la pena è vivere male.
Così ti dicono tra le corsie dell’ospedale, tra i muri pallidi di un reparto e l’altro. Sia che capiti a te o a un tuo caro, il diabete bisogna accettarlo. Una situazione, malattia, patologia (potete chiamarla come volete) con cui è fondamentale imparare a convivere.
Ma come si fa? E in che tempi?
In che modo “io accetto” è collegato alle altre persone, ai tu, agli altri, ai noi e i voi?
Io credo, parecchio.
Quando ero piccina, all’inizio del mio diabete, tutti si sentivano in dovere di dirmi che “sarebbe passato”, che “non era niente magari andava via da solo“ (tipo un fantasma), le mie erano “tutte fissazioni” e che non avrei vissuto tutta la vita con questo ospite inatteso.
Ed io, dentro di me, mi fidavo dei “grandi” e mi avevano convinta. Mi dicevano: “tra 3 anni ci sarà il vaccino”. Pian piano passavano gli anni, io crescevo e mi rendevo conto che nulla stava cambiando e nessuna soluzione definitiva si prospettava all’orizzonte. Chi era vicino a me, parenti, amici, cugini, invece di interessarsi a cosa comportava per me avere il diabete, preferivano abbindolarmi con dorate illusioni (molto più semplice e veloce che mettersi nei miei panni) e così facendo sono passati velocemente i miei primi 10 anni col diabete.
Io ero ancora una bambina, non sapevo nulla di me, di come mi sentivo davvero. Non avevo idea da dove cominciare per accettare questa cosa.
Dopo un lungo percorso di psicoterapia, invece, le cose sono iniziate a cambiare e, contemporaneamente anche le persone intorno a me hanno iniziato a modificare il loro atteggiamento. Io ero più intransigente su chi parlava senza collegare il cervello e “ loro” molto più attenti ad aprire bocca senza valutare le mie esigenze. Quando le cose hanno cambiato rotta, io ho compreso, che l’accettazione non passa sempre per il tempo trascorso dalla diagnosi, ma da ciò che tu hai imparato. Il mondo che intorno a te hai cambiato è la risposta corale di chi ti vuole davvero bene. Tutto il resto, fuori. Cartellino rosso e via.
Perché una cosa che ho imparato per bene dal diabete è la selezione naturale, quella di chi ha bisogno di un “noi accettiamo“ per andare avanti tutti insieme. Partendo dal “io” per diventare un “Noi”.
Perché l’accettazione della propria malattia è un percorso molto tortuoso. Passa dal “perché proprio a me” al “ok, basta, non me lo chiedo più”. Puoi incorrere in tanti aiuti, ma devi partire sempre dalla prima persona:
Io accetto.
E voi? A che punto siete nel tortuoso percorso dell’accettazione del diabete?
Scrivetemi e raccontatemi la vostra storia se vi va.
Ogni mercoledì vi racconterò la mia!