Ciao Elisa, mi chiamo Carlo, ho 45 anni e sono diabetico da quando ne avevo 23. Ho una figlia e come la tua anche lei ha il diabete. Leggere per caso le tue parole su Modus ha risvegliato in me il ricordo di quel giorno in cui ho scoperto che mia figlia, a quei tempi aveva 3 anni, aveva il diabete.
Da tempo notavo che era un po’ strana, molto irritabile, capricciosa e beveva molto. Ne avevo parlato con il pediatra di base che mi aveva detto: “ma dai! Perché pensi questa cosa, tua figlia cresce bene...”, infatti aveva il diabete. Ma io che portavo la malattia su di me e che vivevo con questo incubo, avevo un altro modo di guardare mia figlia e nonostante le parole del pediatra non riuscivo a smettere di pensare al diabete e a guardare mia figlia con uno sguardo perplesso.
Allora non avevo il coraggio di parlarne con la mia compagna, non volevo farla preoccupare e non volevo sentirmi in colpa. Non volevo rivivere un esordio (come hai detto tu: la mia seconda volta) e sapendo cosa vuol dire diabete non volevo che mia figlia dovesse preoccuparsi di una cosa così enorme già a 3 anni.
Ripenso ora a quei giorni e a quel nodo in gola, ogni volta che tornavo a casa dal lavoro e vedevo le occhiaie di mia figlia. Un giorno però non ho resistito e avendo tutto in casa, dopo aver visto mia figlia bere un litro di acqua in un’ora, ho preso il glucometro e ho fatto uno stick…risultato: “HI”. Mia figlia aveva la glicemia sopra i 500.
Penso che in quel momento la mia mente abbia avuto un incidente, si è lesionato il cervello, i pensieri si sono fermati…non è stata più la stessa. Il cuore ha avuto un arresto, come se si fosse danneggiato e poi si è formata la cicatrice, ma ormai non era più integro, un pezzo non funziona più.
Una delle tue frasi mi ha fatto venire i brividi: “Poi, non si sa come, la vita, la natura, il cuore, il sistema complesso delle brutte cose, fa un po’ di pulizia negli angoli del tuo dolore e le cose iniziano a migliorare.”
Il sistema complesso delle brutte cose…è proprio così un sistema complesso che cambia ed evolve e fa tornare a ridere, a ballare, a saltare, a giocare, pur continuando ad avere paura ogni giorno, paura per te stesso e per tua figlia, paura di sapere quante cose possono ancora accadere.
Però una cosa a distanza di anni la posso dire: siamo un sistema complesso, ma se riusciamo a capire quale è la giusta equazione a volte riusciamo anche a “disegnare un bel grafico”.
Ciao,
Carlo
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Caro Carlo,
Non appena ho iniziato a leggere la tua lettera ho pensato: “Mamma mia, questo è mio marito che m’ha scritto una lettera!”. Un po’ per la vicinanza anagrafica e un po’ per le paure e i pensieri, me lo hai ricordato parecchio!
Mi fa piacere se, in qualche modo, le mie parole abbiano smosso qualcosa in te. Quando abbiamo scoperto del diabete di Amelia, ero io, la diabetica di casa, a cercare di boicottare i dubbi che il mio (ai tempi) compagno sollevava sul fatto che potesse avercelo anche lei.
Non potevo crederci. Non riuscivo ad accettarla come possibilità. In questo, tu sei stato molto più realista e bravo, io, invece, cercavo di modificare la realtà. Di allontanare il più possibile dalla mia mente la possibilità di una “seconda volta”.
Mi ricordo sempre, che ero seduta sulla poltrona comoda di uno studio di un medico esperto in gravidanze col diabete, quando lui mi disse che le probabilità che venisse il diabete ad un nostro ipotetico figlio si stimavano intorno al 3%. Una minuzia, un nulla, un enorme niente. Se avessi controllato la possibilità che potesse avere altre patologie, probabilmente, avrei trovavo qualcosa di superiore, in termini di percentuali.
Io ero una persona fortunata, pensavo. Quella percentuale non poteva riguardarmi. Ho vissuto i primi 20 mesi di Amelia non pensando mai che potesse venirle il diabete. Mai. E sono felice di averlo fatto, perché quei mesi, almeno, me li sono goduti.
Poi, invece, è successo. Ed è successo che non potevo più fare finta. E come a me, a te, e ad altri. Perché? Non so darti una risposta. Ma ora, vedo quella nanetta sul mio divano che profuma di glucosio e biscotti e penso che la vita col diabete può essere degna di essere vissuta.
E le percentuali non ci donano dignità. Mai. E nemmeno ci consolano o ci riparano. Così come penso che chissà quali cose potrà fare tua figlia. Che non sono necessariamente cose del tipo buttarsi col paracadute mentre ha le mestruazioni o la glicemia bassa, ma piccoli grandi traguardi che grazie alla sua sensibilità, maggiorata e supplementata dall’esperienza del diabete, potrà conquistare.
Perché così è. Così si impara. Tra le rinunce, le battute idiote delle persone e gli impicci glicemici in momenti topici. Si impara a crescere guardando di più all’essenziale e non alle inutili minuzie a cui si attaccano in molti. E questo te lo dico da ex bimba col diabete.
Ma seguimi bene, non dirò mai che il diabete è un dono. Non cadrò mai in questa distorsione totale della realtà. Ma credo che almeno qualcosa da cui possiamo trarre qualche vantaggio, questo sì, possiamo trovarlo. Anche se non è semplice trovarlo e prenderselo. Spesso ci vuole tempo per capire e per cercare il positivo.
Questi insegnamenti indiretti del diabete, insieme a quelli tuoi e della tua compagna, saranno oro per tua figlia e, chissà mai, che il tuo cuore, un giorno, vedendola grande e donna e indipendente, non possa un po’ guarire dalle ferite di anni di pianti in solitaria e pianti strozzati (che vuoi che non sappia che ci sono stati?). Io ci credo, perché sono una folle ottimista. E immagino un futuro di cuori rammendati ma guariti dalle tristezze.
Ci crediamo insieme?
Dai.