Quando si convive con una patologia che obbliga a un intervento costante come il diabete, è facilmente intuibile che il valore più grande per un paziente è l’indipendenza. Lo sa bene Paolo, che convive con il diabete dal 1978, epoca nella quale esistevano ben pochi dei presidi che oggi diamo per scontati. Siringhe di vetro, aghi di acciaio e solo gli esami delle urine per controllare la glicemia.

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Il diabete 40 anni fa
Avere a che fare con una terapia simile poteva quindi essere limitante, soprattutto se eri nel pieno dell’adolescenza (Paolo stava frequentando il primo anno di liceo) … ancora di più se, come Paolo, avevi il terrore degli aghi. La scuola per fortuna si rivelò un aiuto fondamentale su entrambi i fronti. Innanzitutto, sul non sentirsi “diverso” dagli altri, o lasciato solo. “Ho avuto un aiuto dai professori e dai compagni, che si sono interessati da subito alla mia patologia”.

Compagni di scuola, compagni di vita
Ma la scuola fu il campo dove si giocò la battaglia con la paura degli aghi. E la molla di tutto fu il bisogno di indipendenza. Paolo sognava di partecipare alle gite scolastiche con i suoi compagni, ma rimaneva impossibile perché era la madre a fargli le punture. E poi, il miraggio della gita di quinta: Londra. Paolo prese coraggio pian piano, finché non arrivò il giorno dell’iscrizione. “Ma nonostante tutto, mia madre non ne volle sapere. Allora mi vendicai. Quando, il giorno in cui il preside mi chiese come mai non volessi iscrivermi, gli risposi ‘Purtroppo signor preside non ce lo possiamo permettere!’. Andai a casa e lo raccontai a mia madre, la quale ovviamente diventò rossa dall’imbarazzo: ‘Ma perché gli hai risposto così!’. Al che le risposi: ‘Beh, le punture me le so fare da solo, ci può essere forse un altro motivo per non mandarmi?’”. Alla fine, la madre e il preside risero molto dell’episodio, che comunque non era stato vano.

Finalmente l’indipendenza!
Paolo non partì con i suoi amici, ma aveva dimostrato qualcosa di importante. Aveva preso in mano le redini della sua vita e la terapia aveva smesso di essere una catena che lo legava a casa. L’estate dopo, quella dei diciotto anni, si rifece e con gli interessi! Lui e un amico, una 126 un po’ malandata, nessun piano ma solo un obiettivo: Parigi. “Il mio primo viaggio da solo! Un mese in giro per la Francia arrancando sulla vecchia 126. Costa Azzurra, Parigi e poi Valle della Loira. Per la prima volta me la dovevo cavare da solo, una sensazione di libertà indescrivibile!”. E da lì nacque un amore per i viaggi che non lo abbandona nemmeno oggi e che il diabete non ha mai ostacolato. “Da lì di viaggi ne ho fatti tanti, quasi mai un problema. Solo qualche volta alcuni episodi sgradevoli alle dogane vedendo le siringhe, ma mi sono sempre saputo difendere, bastava essere fermi sulle proprie posizioni.” Paolo non è infatti uno che si lascia mettere i piedi in testa e ha le idee molto chiare: “Avevo tutti quei problemi perché c’è davvero tanta ignoranza in giro!”. Con il suo mezzo sorriso sornione racconta degli addetti ai check-in che estraevano le siringhe di insulina come se avessero davanti a loro un personaggio di Trainspotting. Ora sorride, ma ammette che allora era tutt’altro che piacevole. “La cosa più divertente è che passavo i controlli in Iran e altri Paesi a rischio senza problemi, mentre in Occidente mi facevano pelo e contropelo”.

Paolo raggiunge quindi a un certo punto un equilibrio, anche se la rigidità del sistema con le penne si faceva sentire. “Era quasi impossibile fare uno spuntino o non mangiare. Non avevo quasi flessibilità sugli orari o sui pasti.” Poi il consiglio della diabetologa: perché non provare il microinfusore? E l’innata passione di Paolo per la novità lo spinge a tentare.

L’importante è insistere
Amore a prima vista? Non proprio. Dopo un mese e mezzo Paolo si rende conto che non riesce a utilizzarlo come pensava (“Per colpa mia” precisa oggi). E quindi lo abbandona. Ma lui non è uno che accetta facilmente le sconfitte, soprattutto per un’idea della quale si sta convincendo. “Avevo capito una cosa fondamentale: quello era il futuro, era un treno da prendere il prima possibile.” E così Paolo ci riprova. E finisce per non separarsene più. “Mi ha dato una flessibilità che prima non avevo. Se voglio fare uno spuntino in giro ora posso. Non mi devo appartare per la puntura, prendo il mio telecomando e via. Questo tipo di libertà non ha prezzo.” Guardando indietro, dopo 40 anni di convivenza col diabete, c’è solo un consiglio che ritiene davvero importante dare a chi si affaccia oggi a questa vita. “La prima cosa che ti diranno è che è una malattia. Non ci credere, non è vero. È una condizione: le tue isole di Langerhans hanno fatto le bizze, ora tocca a te fare il loro lavoro. Ma non credere che la tua vita sarà diversa: sarai più forte, migliore sotto tanti punti di vista. Potrai vivere una vita tranquilla senza privarti di nulla. I problemi si affrontano e si risolvono.”

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