Secondo uno studio statunitense pubblicato su Jama, il diabete gestazionale, diagnosticato dalla 26a settimana di gravidanza, potrebbe essere associato con un aumento del rischio di disturbi dello spettro autistico nei figli.

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C'è un legame tra diabete e autismo?
L’esposizione intrauterina al diabete gestazionale, diagnosticato dalla 26ma settimana, si associa a un aumento delle probabilità di disturbi dello spettro autistico nei figli, secondo uno studio pubblicato su Jama. Il diabete di Tipo 2, invece, già esistente nella madre in epoca prenatale non risulta legato all’aumento del rischio di questi disturbi nella prole. Anny Xiang, con i suoi colleghi dei centri medici del Kaiser Permanente Southern California di Pasadena, ha valutato l’associazione tra diabete gestazionale, diabete materno prenatale e rischio di disturbi dello spettro autistico in 322.323 bambini nati tra il 1995 e il 2009 negli ospedali del KPSC.

I piccoli partecipanti allo studio sono stati esaminati al momento della nascita fino a cinque anni dopo. La netta maggioranza di loro (90,2%) non ha avuto un’esposizione intrauterina ad alcuna forma di diabete, mentre circa il 2% è stato esposto durante la gravidanza a diabete di Tipo 2 pre-esistente, ed il 7,8% ha avuto un’esposizione alla forma gestazionale del diabete.

Fattori e rischi del diabete gestazionale
Lo studio ha rilevato che, dopo aggiustamento di parametri quali età materna, reddito familiare, etnia e sesso del bambino, il diabete gestazionale diagnosticato dalla 26ma settimana era significativamente associato al rischio di disturbi dello spettro autistico nella prole, al contrario del diabete prenatale di Tipo 2.
L’aumento del rischio era indipendente dal fumo materno, dall’indice di massa corporea pregravidico, dall’aumento di peso gestazionale e dall’uso di antidiabetici. I meccanismi che collegano l’iperglicemia intrauterina al rischio di disturbi dello spettro autistico nella prole possono seguire percorsi differenti, spiegano i ricercatori.
Tra questi si annoverano l’ipossia fetale (cioè la ridotta concentrazione di ossigeno nel sangue), lo stress ossidativo nel sangue cordonale e nel tessuto della placenta, l’infiammazione cronica e le alterazioni epigenetiche, che agiscono sulle cellule senza modificarne il Dna.

«Questa ricerca», conclude Anny H. Xiang, «è solo una prima indagine e, per confermare i risultati, saranno necessari ulteriori studi».

Fonte: A Xiang et al. JAMA. 2015;313(14):1425-1434.

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