Il genere conta nella cura personalizzata del diabete: riduce la mortalità nelle donne ma non negli uomini. Lo rivela uno studio danese, dopo un follow-up a lungo termine, pubblicato su “Diabetologia”
Un recente studio danese si è posto l’obiettivo di valutare le differenze tra uomini e donne nella mortalità e morbilità, nel corso di 13 anni di follow-up dopo 6 anni di cura personale strutturata, in pazienti con diabete di Tipo 2.
Lo studio rivela una riduzione della mortalità correlata al diabete e per tutte le cause nelle donne ma non negli uomini. Marlene Krag, del Dipartimento di Sanità pubblica all’Università di Copenhagen, con i colleghi ha rivalutato, a distanza di tempo, alcuni dei 1.381 pazienti con nuova diagnosi di diabete di Tipo 2 che, divisi in due gruppi, hanno ricevuto una cura personale strutturata o cure di routine tra il 1989 e il 1995.
In questi sei anni, i medici hanno incoraggiato il gruppo di intervento a considerare l’importanza della dieta e dell’attività fisica, ritardando l’uso di farmaci antidiabetici fino alla valutazione dell’effetto delle modifiche dello stile di vita. Invece i medici di medicina generale del gruppo di controllo erano liberi di scegliere qualsiasi trattamento desiderassero e di modificarlo nel tempo.
«Dopo sei anni di follow-up, le conclusioni del trial originario suggerivano l’assenza di qualsiasi effetto del trattamento personalizzato sulla mortalità e sugli altri indicatori secondari di efficacia», spiegano i ricercatori, precisando tuttavia la presenza di una riduzione, solo nelle donne, dei valori di emoglobina glicata.
Un’ulteriore analisi osservazionale ha seguito 970 pazienti, reclutati tra i partecipanti allo studio osservazionale, per 13 anni successivi, dal 1995 al 2008, utilizzando registri nazionali dimostrando che con il trattamento personalizzato le donne avevano il 26% in meno di probabilità di morte per qualsiasi causa rispetto ai maschi, e un rischio inferiore del 30% di morire per cause legate al diabete.
I ricercatori hanno sottolineato come questi risultati mettano in gioco complesse questioni sociali e culturali di genere.
Vi è la necessità di riformulare eventuali strategie terapeutiche differenziate per uomini e donne, così da ottenere in entrambi i sessi la massima efficacia.