Gli esperti non credono nell’utilità dei test genetici per prevenire il diabete, in particolare nel caso di quello di Tipo 1, in quanto informazione genetica e consulenza genetica non servono a prevenirne la comparsa.
L’utilizzo di test genetici per prevenire la comparsa del diabete e le sue complicanze è di scarsissimo valore nella pratica clinica, anche se si conferma importante nella ricerca.
È quanto emerge dal documento “Predizione genetica delle forme comuni di diabete mellito e delle sue complicanze croniche - C’è ancora molto lavoro da fare!”, recentemente pubblicato dal Gruppo di Studio Genetica della Società Italiana di Diabetologia.Dal documento è emerso che, in particolare nel caso del diabete di Tipo 1, informazione genetica e consulenza genetica possono essere di qualche aiuto in alcune famiglie con un’elevata presenza di individui con diabete di Tipo 1, ma non nella popolazione generale.
La presenza, infatti, di una componente genetica alla base dell’insorgenza della malattia è evidente: il rischio di sviluppare diabete di Tipo 1 prima dei 20 anni è del 5% nei bambini nati in una famiglia con un membro affetto da questa condizione, mentre è solo dello 0,3% nella popolazione generale.
«Ad oggi però», afferma il professor Vincenzo Trischitta, coordinatore del Gruppo di Studio Genetica della SID, «non è stata individuata alcuna strategia per la prevenzione del diabete di Tipo 1 e quindi, una volta appurato un aumentato rischio di sviluppare la condizione morbosa, non si sarebbe comunque in grado di prevenirla.
Bisogna, dunque, chiedersi se i test di predizione del diabete di Tipo 1 siano veramente utili ed eticamente giustificati sul versante medico-assistenziale o se invece non debbano ancora essere lasciati come utile strumento di ricerca nell’attesa che si individuino vere strategie di prevenzione di questa forma di diabete».